Trascorriamo sempre più tempo sul web ed abbiamo l’impressione di essere liberi nelle nostre scelte, ma è veramente così ? Il fenomeno delle bolle di filtraggio è ancora poco conosciuto e molti pensano che limiti il libero arbitrio che esercitiamo in rete.
Avete notato come la maggior parte delle interazioni sui social media avvengano con soggetti il cui modo di pensare è molto vicino al nostro?
Come è possibile che le interazioni con coloro che non la pensano come noi (sicuramente una minoranza) rischino di trasformarsi in baruffa ?
C’è da rimanere increduli nel constatare che persone, magari conosciute da anni, cambino completamente il proprio atteggiamento e le proprie reazioni una volta protetti dallo schermo del proprio dispositivo.
Di fatto il rapporto che abbiamo con i nostri interlocutori sulla rete si sta da tempo “polarizzando”.
I nostri contatti, con il passare del tempo, sembrano assumere connotazioni estremistiche: buoni contro cattivi, conservatori contro progressisti, destra contro sinistra, ecc…
A fronte dei tanti che rispecchiano le nostre posizioni, credenze, convinzioni, ve ne sono altri che invece le osteggiano con veemenza e cattiveria; non esistono mezze misure.
Le origini di queste faziosità non sono certo da ricondurre alla rete, ma a comportamenti sociali che, da sempre, tendono ad unire gli individui in clan più o meno grandi accumunati da fattori quali la fede calcistica, il credo religioso, l’appartenenza politica, il territorio di residenza, e molti altri ancora.
All’interno del clan ci si sente sicuri, protetti ed al riparo dal “nemico”, individuabile come chiunque non appartenga al gruppo.
FILTER BUBBLES
Anche il comportamento in rete (nonostante l’apparente asettico tecnicismo) segue gli stessi schemi sociali; il fenomeno va sotto il nome di “Filter bubble”, bolle di filtraggio.
Sconosciute alla maggior parte delle persone, esse sono talmente importanti nelle nostre giornaliere interazioni sul web da orientare i nostri acquisti, consigliare i nostri consumi ed addirittura influenzare le nostre scelte politiche.
Il termine bolle di filtraggio venne coniato nel 2010 da Eli Pariser, che le definì come “ecosistema personalizzato dell’informazione creato dagli algoritmi”.
In sintesi Pariser sostiene che le nostre interazioni sul web sono sempre influenzate dagli algoritmi i quali creano e mantengono una realtà digitale costruita su misura del navigatore, del quale rispecchia gusti ed abitudini.
Non è un segreto che i giganti del web filtrino automaticamente informazioni e contenuti proposti ai propri utenti affinché risultino quanto più possibile allineati con gli interessi individuali rilevabili dalle attività abituali del navigatore.
La prima conseguenza è che di fatto non esiste una internet uguale per tutti, ma grazie all’utilizzo estensivo di questi algoritmi ne abbiamo infinite versioni.
Possiamo sperimentarlo facendo ricerche su parole chiave operate però da differenti utenti; i risultati rispecchieranno gusti ed inclinazioni del soggetto che effettua la ricerca dando differenti esiti.
PROSPETTIVE FUTURE
La tendenza attuale è quella di operare questo filtraggio su ogni piattaforma da noi frequentata: dai motori di ricerca a Facebook, dai principali siti di acquisti on-line ai siti di condivisione contenuti multimediali.
Il vantaggio per l’utente è notevole: la reazione ad ogni sua interazione sul web sarà personalizzata e basata su gusti e gradimenti espressi in precedenza, in maniera talmente attendibile da risultare sorprendente per l’utilizzatore stesso.
Questo è reso possibile dal sempre più esteso utilizzo dell’intelligenza artificiale unita alla disponibilità di enormi database che noi tutti contribuiamo ad alimentare quasi inconsapevolmente.
Lo svantaggio è però altrettanto evidente: il navigatore non sa che la propria esperienza in rete viene costantemente limitata da differenti forme di filtraggio, e tenderà a farsi un’opinione non corrispondente alla realtà dei fatti ma ad una versione mediata dagli algoritmi, sempre a caccia di informazioni che possano incontrare il gusto dell’utente il quale, tramite le proprie azioni sul web, risulta essere il vero artefice della propria autolimitazione.
L’unica “difesa” ipotizzabile (se si è realmente disposti a rinunciare ai vantaggi delle “filter bubbles”) è operare in forma anonima; questo è possibile per l’utilizzo dei motori di ricerca, ma impraticabile nell’uso di applicazioni che richiedano l’autenticazione di un proprio profilo.
Ancora una volta saranno le nostre azioni a decidere quali impronte lasciare sul web.
Anche se sicuramente i nostri account saranno già inseriti in qualche bolla di filtraggio, la speranza è che sia la più ampia possibile; sono convinto che la presa d’atto della loro esistenza sia un primo passo per comportamenti più consapevoli.
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